Peccato & reato

scritto da Nigthafter
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“Mi arrestarono un giorno per le donne ed il vino non avevano leggi per punire un blasfemo non mi uccise la morte, ma due guardie bigotte mi cercarono l’anima a forza di botte.”
- Nota dell'autore Nigthafter

Testo: Peccato & reato
di Nigthafter

Peccato & reato


“Mi arrestarono un giorno per le donne ed il vino
non avevano leggi per punire un blasfemo
non mi uccise la morte, ma due guardie bigotte
mi cercarono l’anima a forza di botte.”

(Fabrizio De André)

Avevo molto amato questa e altre canzoni dell’album Non al denaro non all’amore né al cielo del grande Faber, ma questo avveniva un tempo, quando si viveva ancora in democrazia e la libertà di parola e pensiero erano moneta corrente.
Non avrei immaginato allora che le cose in questo paese potessero cambiare in maniera tanto estrema.
È vero che in un tempo più lontano si era conosciuta la dittatura: il fascismo, ma la lotta di liberazione ci aveva restituito la libertà.
Una libertà vasta che aveva fatto dimenticare alle nuove generazioni, cresciute in una società permissiva e benestante, che quel valore non era un diritto inalienabile, un regalo avuto per sempre, ma una conquista da rinnovare giorno dopo giorno.
Infatti, la fragile pianta della libertà, non coltivata e accudita, era morta.
Al suo posto era nata una nuova dittatura, con una forma diversa dalla precedente, in una veste vieppiù sconosciuta alla nostra cultura moderna e occidentale, ma tanto più oppressiva e perniciosa, declinata in una forma radicale e assolutista, imbevuta di un fanatismo bigotto: vivevamo in quella che si poteva definire una nuova “Teocrazia”.
Si era creduto che modelli arcaici, propri delle culture islamiche, non avrebbero mai attecchito nella nostra società, cresciuta nell’Illuminismo, dove la Chiesa aveva perso da secoli il suo potere temporale e la dottrina cattolica era praticata in maniera assai tiepida dai fedeli.
Da tempo l’idea di Dio si era relativizzata, scarseggiavano le vocazioni e sempre più la società si diluiva in posizioni agnostiche di indifferenza religiosa o di conclamato ateismo.


Poi, una mattina, incredibilmente, e quasi senza che la società se ne fosse avveduta, ci si era risvegliati con la tavola della legge e i suoi dieci comandamenti a sostituire la costituzione e i suoi articoli.
Non saprei dire come ci fossimo giunti, forse attraverso una lunga serie di governi di destra, che avevano trovato spazio nell’insipienza di una sinistra evanescente e sempre più lontana dalle istanze che ne avevano ispirato la nascita.
Mentre una popolazione obnubilata da uno stile di vita improntato al consumismo più sfrenato, all’edonismo più deteriore, aveva smarrito la sua umanità, dando vita a un ingovernabile marasma di bisogni e assurde pretese che avevano portato all’ingovernabilità permanente con tensioni violente in tutto il paese.
Ci si era ritrovati con una società priva di valori, che conosceva solo un individualismo estremo e privo d’empatia come motore di convivenza sociale, suscitando un necessario e urgente bisogno d’ordine che placasse gli eccessi e l’aggressività che avevano trasformato il tessuto sociale in un branco di lupi in perenne contrapposizione, unicamente votati a sbranarsi tra loro.
In questo stato di cose, la destra ci aveva sguazzato e la Chiesa ne aveva tratto un vantaggio irrinunciabile: l’occasione rinvigorente per riaffermare la propria influenza.


Si erano promosse, in funzione dell’emergenza sociale, una serie di leggi liberticide che lentamente avevano eroso diritti e norme a tutela delle libertà personali, conquistate in secoli di giurisprudenza illuminata e liberale.
Leggi liberticide e provvedimenti speciali si erano susseguiti a ritmo incalzante. Era stato per tutti come perdere una falange delle dita di una mano, un problema al momento spiacevole, ma il disagio percepito stava nella convinzione che alla mano restassero comunque quattro dita integre e che la sua funzione pratica non ne venisse in ogni caso alterata più di tanto.
In seguito, le falangi mancanti divennero due e, col trascorrere dei mesi e degli anni, della mano rimase solo un moncherino spoglio di dita.
Ma tutti si convinsero, anche grazie all’attenta propaganda del governo, che aveva opportunamente monopolizzato ogni organo d’informazione, dalla carta stampata alla TV e a ogni altro media, che si trattasse di un sacrificio necessario, richiesto dall’emergenza e dal bene irrinunciabile della salute pubblica.


Alla fine, ci si ritrovò con una popolazione di uomini privi di mani, ma il tempo trascorso dalla perdita della prima falange aveva ormai fatto dimenticare ai più, e in particolare alle nuove generazioni, che un tempo gli uomini erano dotati di tali organi tattili, tanto più che molti di loro neppure si erano accorti di possederle quando ancora le avevano.
Il potere reazionario, in virtù del ripristino della tradizione, era giunto ai suoi estremi primordiali: le leggi dei Dieci Comandamenti, dati da Dio a Mosè sul Monte Sinai, erano divenute dottrina giuridica dello stato.
Un popolo di pecore acefale si adattò placidamente alla nuova forma di dittatura assoluta, immemore di essere stato un tempo uomini liberi e con leggi e diritti che ne garantivano l’indipendenza personale, difendendoli da ogni sopruso del potere e dello stato.

La parola “sinistra” e ciò che significava venne bandita dai dizionari, biasimata nel parlare corrente e severamente sanzionata se pronunciata pubblicamente.

In sostanza, ero stato arrestato, processato e condannato per aver contravvenuto ripetutamente a due precetti del decalogo divino:


Il sesto comandamento - Non fornicare.
Il nono comandamento - Non desiderare la donna d’altri.

Esatto, ero un fornicatore e un fedifrago seriale.

Tutto era nato con l’avvento dei “social” nel web, prima che questo disastro sociale e normativo avesse inizio, che aveva promosso diffusamente la grande opportunità di relazionarsi, in modalità virtuale, con uno sterminato numero di individui sul territorio nazionale ed estero.
Questo, per me, che ero di natura vivacemente libertina, si era presto rivelato un ampio terreno di caccia a quel genere di deliziosa selvaggina umana costituita dal mondo femminile, in particolare da quelle donne più sensibili al richiamo dei sensi e alle dolci fantasie dell’eros.
L’idea mi nacque casualmente: infatti, da tempo, per passione, scrivevo racconti licenziosi, per la verità alcuni anche molto spinti, quasi sconfinanti nel porno, ma con un intento di qualche ricercatezza formale.
Mi piaceva che ciò che scrivevo possedesse una cura e un’estetica che non era consueto trovare nella narrativa di quel genere presente in rete.
Erano storie decisamente incandescenti, forse discutibili come prodotto letterario, ne ero decisamente consapevole, ma non ambivo di certo a candidarmi al premio Bancarella.


Benché si trattasse di opere di valore modesto, va detto che le mie descrizioni dei più dissoluti e perversi atti sessuali non lasciavano il lettore tiepido o indifferente.
Si trattava di un innocente passatempo che mi giovava qualche lode di eventuali lettori e gratificava tiepidamente il mio ego di scrittore erotico amatoriale.Scoprii con piacere d’essere soprattutto gradito a un pubblico femminile.
Diverse, incuriosite da quanto pubblicavo, trovavano che fossi un soggetto atipico rispetto al panorama medio dei maschi che frequentavano quei social.
Questo favoriva le mie richieste d’amicizia e motivava altresì loro a richiedermela, nel caso non l’avessi già fatto io in precedenza.
Diverse mi contattavano in privato, solitamente volevano sincerarsi se quanto compariva nei miei scritti fosse frutto d’invenzione o legato alle mie esperienze di vita.
Con modestia rispondevo che molte ambientazioni e azioni dei racconti fossero frutto di fantasia, ma confermavo, al contempo, che negli scritti d’ogni autore inevitabilmente comparissero spunti autobiografici.
Questo sovente alimentava il loro interesse, conferendomi un’aura di stuzzicante, malizioso mistero.

Mi ero anche dotato di un account suggestivo e sulfureo, quello di: “Asmodeo”.
Questo, per chi tra i miei lettori fosse più colto e in confidenza con le sacre scritture, era il nome del grande tentatore, del seduttore biblico che indusse, in sembianza di serpe, la prima donna a cogliere il frutto proibito nel giardino dell’Eden.
Lo stesso che, per talune tradizioni, si era unito a Lilith, la leggendaria moglie ribelle di Adamo prima di Eva, che, condannata all’esilio dal Paradiso terrestre, si era unita con questo potente demonio.
Per la prima volta comprendevo d’essere in possesso d’una originale e fruttuosa arma di successo verso l’altro sesso, qualcosa che era frutto del mio ingegno, di una vivace fantasia licenziosa e d’una modesta abilità nell’impiego della parola scritta.
Compresi anche che questa opportunità era favorita dallo straordinario e fecondo scrigno costituito dalla fantasiosa mente femminile.Buona parte degli uomini, con l’età adulta, perdevano la preziosa facoltà di sognare.
O peggio, limitavano i loro sogni a fatti irrilevanti per la donna: il tifo per la conquista dello scudetto della squadra del cuore, la loro presenza in uno stadio alla domenica, il calcetto con gli amici del venerdì sera, il desiderio di un’auto sportiva o del nuovo modello di telefonino, relegando sovente la propria compagna a trascurato e banale oggetto dell’abitudine.
Al contrario, le loro compagne o consorti continuavano invece a esercitare la fantasia, ad alimentare desideri insoddisfatti e sogni, agognando esperienze di vita arricchenti.


Pensando a queste infelici, mi tornavano alla mente le parole della poesia di Prévert: Déjeuner du matin.*
Donne umiliate dai silenzi e dall’indifferenza, confinate talvolta in opprimenti gabbie dorate a scontare, in una solitudine dell’anima e talvolta del corpo, il peccato di aver amato un uomo superficiale o sbagliato.Giunsi a identificare anche il mio target di riferimento di quell’universo femminile: il mio obiettivo di seduzione erano donne sposate o conviventi, nella fascia tra i trentacinque e i quarantacinque anni.
Questo perché, nell’arco di tale decennio, a mio avviso, risiedeva l’età d’oro del sesso femminile.
All’interno di questi anni, esse giungevano alla maturazione della loro femminilità, alla piena consapevolezza di sé, della conoscenza del proprio corpo e delle sue irrinunciabili esigenze fisiche e spirituali.
Sapevano, con pragmatismo, che la giovinezza non era eterna, che un rimorso era preferibile a un rimpianto, che se vi era una vita da vivere e desideri da soddisfare, non era più tempo di indugi.Ma, badate bene: non fui solo un cinico predatore.
Seppi stupirle quando, nel conoscermi, scoprirono che il diavolo, a dispetto del profilo mefistofelico, non era poi brutto quanto si diceva.
Riconobbero che la penna del pornografo celava un’anima aliena da volgarità, una sensibilità di modi, un tatto rispettoso, una profonda capacità d’ascolto.
Il diavolo si rivelava un interlocutore attento e partecipe che sapeva comprenderle, mostrarsi solidale alle loro ansie o incertezze, accettava la loro umanità senza mai giudicarne le aspirazioni o criticarne le scelte.
In supplenza dei loro compagni o consorti, assenti e distratti, divenni un fidato confessore, un amico sincero, talvolta un consigliere, una spalla di sostegno affidabile nei giorni bui.


Non chiesi o proposi mai cose che potessero risultare sconvenienti o inopportune, non promisi ciò che non potevo mantenere, non creai aspettative false o equivocabili, fui sempre chiaro sulla natura e la finalità dei nostri rapporti.
Non ho mai provato rimorsi per ciò che facevo; pur peccando, avevo sempre tenuto una linea di condotta corretta e improntata al rispetto della donna con cui mi relazionavo.
Con molte di loro il rapporto rimase puramente amicale e virtuale, con altre culminò in un incontro reale che rimase un’esperienza felice per entrambi.
Con talune nacque un sentimento più profondo ed esteso: un reciproco innamoramento che durò molti anni, offrendo grandi gioie e qualche inevitabile dolore.
Negli anni sono certo di aver donato a queste donne qualcosa di positivo: una parentesi vivificante nel loro grigio ménage familiare, un brivido di proibito, una manciata di allegria lanciata in aria come coriandoli colorati.
Ho dato loro qualcosa che uomini, ormai privi di sogni e di passione, non sapevano più offrirgli.
Non so dire con quanto affetto possano ancora ricordarmi, ma confido che per nessuna di loro sia una memoria di rammarico.

Per tutta la mia esistenza adulta sono stato un peccatore privo di rimorsi e pentimenti.
Mi hanno arrestato al tramonto di una vita dissoluta, quando ormai, riposti i desideri e la penna dell’insidiatore o corruttore, mi dilettavo a comporre innocenti versi liberi, poesie prive di metrica e rime.
Piccoli componimenti che traevano ispirazione dalle mie passate esperienze sentimentali, inutile dire che non assurgevano mai all’Olimpo della lirica più alta e raffinata.
Il poeta non possedeva migliore abilità del pornografo.Quando mi hanno arrestato e interrogato, ho ammesso ogni mio atto, non ho cercato scuse o invocato comprensione e clemenza: la condanna è quindi stata assicurata.
Non so dire se qualche solerte tutore della legge si sia preso la briga d’indagare sulla mia condotta passata, o se qualche marito rancoroso, che abbia scoperto la relazione intrattenuta con la propria moglie, abbia compiuto una vendetta denunciandomi alle autorità.
In questa nostra Teocrazia, diversamente da quelle islamiche, domani non mi taglieranno la testa o mi lapideranno come è uso in quei paesi, né mi bruceranno su un rogo come avveniva nel nostro Medioevo, però verrò punito con un’esemplare esecuzione pubblica.
Domattina, su una grande piazza, al cospetto della nutrita folla convenuta, verrò evirato, privato della mia arma intima, dispensatrice e procuratrice di soavi momenti di piacere, ma anche d’amore.
Ormai ho raggiunto un’età per cui mi è indifferente se mi si amputano i gioielli di famiglia; certo, è una piccola consolazione, ma è pur sempre meglio che farsi staccare la testa con un fendente di scimitarra.

Poi chissà, anche Abelardo aveva continuato a scrivere a Eloisa dopo che gli avevano fatto lo stesso servizietto: la mente basta a sé stessa.

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* Déjeuner du matin

“Il a mis le café
dans la tasse
il a mis le lait
dans la tasse de café
il a mis le sucre
dans le café au lait
avec la petite cuiller
il a tourné
il a bu le café au lait
sans me parler
sans me regarder.
Il s’est levé
il a mis son chapeau sur sa tête
parce qu’il pleuvait
et il est parti
sous la pluie
sans une parole
sans me parler
sans me regarder.
Et moi, j’ai pris
ma tête dans mes mains
et j’ai pleuré.”

(J. J. Prevert)

Peccato & reato testo di Nigthafter
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